Dance In-It a Bhubaneswar, giorno 5: shooting fotografico e festival
Lo shooting
Le giornate in India sembrano avere centosessantordici ore: il tempo si sfilaccia ma a volte sono tantissime le cose si incastrano in poco tempo.
La sveglia suona alle 5.30 perché dobbiamo truccarci e vestirci. Andiamo da Antonietta a sistemarci. Indossiamo le sari del Kerala che ci ha procurato Stella, bianche con il bordo oro, sotto ognuna ha una blause di colore diverso. Ed eccoci: rosso, verde, fucsia, turchese e ocra. Indossiamo la sari a pantalone grazie alle indicazioni della maestra di sari Stella: bellissima sensazione, si avvolge una gamba e poi l’altra e la parte sopra è come nel modo classico. Le sari sono un po’ trasparenti e così dobbiamo avere mutande il più neutre possibili: carne, bianco, rosa pallido. La cosa più sobria che ho, fra pois e righine, è un ciclamino ma non si vede.
Andiamo in un piccolo tempio. La luce rosso-dorata del mattino accende la pietra che già i colori caldi dell’alba. Carlo e Petra scattano le foto ma la cosa più bella è che ormai sono diventati degli assistenti alla coreografia e riescono a sistemarci: “Hai il gomito un po’ più su di lei”, “ruota un po’ il piede”, “lo sguardo più giù”. Forse, abituati a guardare in camera, vedono cose che altre persone non vedrebbero. Dopo il tempio andiamo all’orto botanico e facciamo foto abbinate all’architettura, spigoli e rotondità: gli strumenti musicali, pose di kalari.
Poi lasciamo tutto e facciamo una vera colazione indiana, street food al carretto affollato: Idli, una specie di tortino gonfio in centro e piatto ai lati di lenticchie fermentate e riso da abbinare a salse; e Vada, frittelle di patate in pastella di ceci; evito le salse perché ho la pancia delicata e vorrei continuare a stare bene. Poi beviamo un tè all’Old Town Cafè, posto molto carino. Darjeeling in bustina, ma perché?
Proteggersi dall’India
Ogni tanto in India mi devo proteggere dal troppo: troppo rumore, troppa folla, troppi clascon, troppa vita che deborda, troppi stimoli, tutto senza filtri. E allora mi rifugio, anche solo per un’ora, in un caffè o in un mall. In Europa rifuggo dai centri commerciali come fossero il male assoluto ma qui, ogni tanto mi rifugio (in fondo è solo una g che diventa i) e vado a respirare un po’ di senza-polvere, a fare pipì in un bagno pulito dove c’è persino la carta igienica e dove la prossemica ha distanze più europee e ho meno corpi addosso. Qui respiro e mi ricarico, come se fossi al mare, prendessi un po’ di sole e lasciassi distendere la pelle al caldo, prima di rituffarla nel bagno di vita e vite che è l’India.
Dall’infinito al finito
La sera andiamo a vedere la performance di Ileana, il solo, la stessa coreografia che sta creando per noi 5. Ritroviamo i movimenti, i gesti, quel senso di smarrimento ed ebbrezza che muove la yogini. Sul palco Ileana rende molto. Non è più una ragazzina, ha l’esperienza e la naturalezza di chi è al suo posto nel mondo. Ecco cosa mi affascina di lei: abita sempre allo stesso tempo un qui e un Altrove. Forse è quell’Altrove dove nascono le idee, dove parte il viaggio dall’infinito al finito, dove tutto è possibile.




